La guerra in Ucraina è lo scontro fra due visioni opposte delle relazioni internazionali, ma anche della vita, personale e collettiva, inconciliabili, e fra le quali non vi può essere “negoziato” o “trattativa”.
Il regime moscovita esprime un millenarismo antico e che risorge in forme diverse, ibridate con altre, superficiali e strumentali ideologie, ma sempre con la pretesa di separare il nero e il bianco, di incarnare una aspirazione immutabile e astorica, di conoscere il “vero bene” per i propri sudditi (chè il termine “cittadini” è improprio) e per conseguenza dei popoli vicini e non solo.
Da qui l’ aggressione contro il popolo ucraino, da “riportare alla retta via” , che è quella, immutabile, della “fratellanza slava” , sotto la direzione della “Terza Roma” (che ha ricevuto il “bastone del comando” da Roma, appunto, via Costantinopoli) e che quindi deve essere “denazificato” e “demilitarizzato” (termini in codice per rendere “palatabile” la guerra) e naturalmente orbato di un governo e di una élite “globalista” e “liberale” che non fa gli interessi, eterni e scritti nelle tavole della legge moscovita, da Ivan il terribile allo zar Pietro a Stalin a Putin e domani , chissà, a Prigozhin.
Il popolo ucraino esprime invece, anche in forza di una vicenda storica aperta a diversi influssi, fatta di grandi aspirazioni e di grandi tragedie, una “semplice” volontà di autodeterminarsi, di esprimere liberamente le persone scelte per governare e amministrare la cosa pubblica, avendo compreso la lezione tragica di due due guerre mondiali, nate in Europa (di cui esso fa parte, da sempre, per storia e cultura, appunto), che è in fondo quella di accettare la convivenza delle diversità entro confini stabiliti, e magari (come nella UE) rendere quei confini “porosi” agli scambi di idee, di merci, di persone, alla condivisione di aspirazioni e di istituzioni, non negando le tradizioni, ma appunto nel significato di “consegna, trasmissione” fra generazioni, ove non c’ è alcun vincolo di conservazione e di obbedienza atemporale.
Quella degli ucraini è allora la “banale” ricerca, nella imperfezione inevitabile delle relazioni umane, e quindi di quelle internazionali, fra popoli, di una “bussola” da utilizzare, che è quella della giustizia, non quella di un dio lontano e terribile (come quello di Kirill, ad esempio), o di una casta che si ritiene interprete designata e autorizzata di una tradizione di potenza e di “zone di influenza” , ma di quella incarnata, appunto , dalla saggezza di chi ha vissuto le tragedie delle due guerre mondiali, e ha saggiamente impostato un sistema di diritto internazionale, che nella Carta delle Nazioni Unite è in quella dei Diritti umani ha i suoi cardini, e che nel 1991 consentì la fuoriuscita del Paese dalla moribonda URSS e nel 1994 (e in seguito) confermò indipendenza e confini , associate alla rinuncia all’ arma nucleare.
“Giustizia” , questa è la parola, che accetta l’ imperfezione umana, e quindi anche dei popoli, ma proprio per questo rinuncia, per scelta, alla costrizione altrui per il loro presunto bene, e a chi di questo elementare principio fa strame non può che riservare la reazione legittima di chi viene conculcato e di chi ne condivide i principi, e infine non può che portare alla rovina e alla disgrazia i propri “sudditi”.